Le caratteristiche della metrica latina
Per cercare di dare un suono alla poesia latina bisogna comprendere i principi fondamentali della prosodia, cioè del complesso delle regole che riguardano la quantità delle sillabe e gli accenti delle parole, perché dalla prosodia dipendeva la metrica latina.
Fondamentale principio della lingua latina era la percezione della quantità delle sillabe, che potevano essere lunghe o brevi, secondo la diversa durata dei suoni vocalici. Si può effettuare un paragone efficace con la musica, in cui una nota si può dividere in due note di durata dimezzata. Così una sillaba lunga poteva equivalere, per durata, a due sillabe brevi.
Questo senso si è perduto nella lingua italiana, anche se è appena percepibile in certe sillabe accentate. Per esempio in italiano si può avvertire una durata maggiore del fonema “e” nella parola “intero”, piuttosto che dello stesso fonema nella parola “integro”. In latino quest’elemento era fondamentale anche a livello semantico, al punto che alcune parole omografe assumevano diverso significato se una sillaba era breve o lunga. Per esempio il verbo lego significava «io leggo» (dal verbo “leggere”) se la “e” era breve e «io lego» (dal verbo “legare”) se la “e” era lunga.
La poesia latina aveva dei ritmi diversi rispetto a quelli della metrica italiana.
La metrica italiana è accentuativa (ogni parola conserva generalmente l’accento tonico che ha in prosa) e sostanzialmente isosillabica, in altre parole il verso si costituisce quando le parole contengono un numero ordinato (costante) di sillabe.
La metrica latina è quantitativa, cioè il verso si costituisce quando le parole realizzano una serie ordinata di sillabe brevi o lunghe disposte secondo uno schema.
A questo punto le certezze terminano e subentrano le incertezze sulle conseguenze di queste enunciazioni di principio: prescindendo dalla scelta di fondo tra la pronuncia scientifica e tradizionale, come gli antichi leggevano la poesia?
I versi avevano delle misure, chiamate piedi, costituite in genere da unità (metri) costituite da gruppi omogenei di sillabe lunghe o brevi in una disposizione regolare. Ogni piede aveva un tempo forte ed un tempo debole; il tempo forte era chiamato anche arsi, cioè innalzamento, ed il tempo debole tesi, cioè abbassamento. Interpretando questi termini in chiave ritmica, con il conforto del termine ictus («colpo») attestato in Orazio e in Quintiliano, si è giunti, in età abbastanza recente, a pensare che esistesse un accento, costituito da un innalzamento della voce in corrispondenza del tempo forte del piede, che poteva essere reso con un accento di natura intensiva analogo all’accento tonico della lingua italiana.
Da un punto di vista tecnico gli studi sono prevalentemente orientati ad avanzare forti dubbi in primo luogo sull'esistenza e poi sulla natura di tale accento, che non era in uso presso gli umanisti, i quali leggevano i versi latini ignorando l’ictus.
Perché dunque non eliminare l’ictus e leggere come se le parole fossero in prosa?
Il Maas (cfr. op. cit.), che si dichiara contro l’esistenza dell’ictus (anche se a proposito di metrica greca), afferma che è preferibile la lettura con accento intensivo secondo i principi tradizionali della metrica, perché ha “il vantaggio di costringerci da un lato a rispettare la prosodia, dall’altro a tener presente di continuo il rigore della struttura metrica del discorso e le variazioni stilistiche del metro”. In considerazione della saggezza dell’aforisma dello stesso autore “alla metrica non occorre credere, ma bisogna saperla. Saperla e insegnarla a dovere.” (ibidem nell’introduzione di A. Ghiselli) si può condividere questa tesi sia da un punto di vista culturale che scolastico, considerando la lettura con gli ictus strumento comunque utile, che può accrescere la comprensione del testo poetico.