Sono giunto in possesso di alcuni volumi della Biblioteca del Popolo, una collana che ebbe grande importanza per la divulgazione del sapere a partire dalla fine del XIX secolo. La storica casa editrice milanese pubblicò numerosissimi volumetti di 64 pagine nei quali si esponevano i rudimenti di tutte le scienze umane e scientifiche “in forma popolare, succinta, chiara, alla portata di ogni intelligenza”.
La mia attenzione è stata subito attirata da due volumi riguardanti la lingua latina: Grammatichetta (sic!) Latina (volume 139) e Sintassi latina (volume 281), pubblicati nel 1935.
Comincio a sfogliare il primo volume:
nella premessa osservo la seguente dichiarazione di metodo: “seguiremo un metodo misto tra lo scientifico e il pratico”. Noto subito un vistoso refuso in prima pagina: “scentifico”, per fortuna un hapax, quindi proseguo a sfogliare alcuni capitoli per capire quale metodo è stato seguito dall’autore.
Metodo base: l’osservazione dei fenomeni linguistici in italiano per arrivare alla definizione tecnica; viene raccomandata la conoscenza delle “due analisi: logica e grammaticale”. L’autore non usa parole tecniche come “semantema, morfema…” e le due analisi non sono definite “prerequisiti”: il lessico è semplice, allineato alle indicazioni dell’editore.
Al termine della sezione dedicata alle declinazioni, al § 8 troviamo un’affermazione del tutto condivisibile: “Sonvi nella declinazione parecchie irregolarità, che non si possono registrare nella breve mole di questa grammatichetta… ma tutte queste irregolarità sono registrate in qualunque dizionario, e non sono che una parte infinitesimale di fronte alla copia dei nomi ed aggettivi regolari”. L’arcaico “sonvi” in posizione enfatica ci proietta in un tempo antico e ci accompagna ai piedi della predella su cui era assiso il professore d’altri tempi.
Il nostro autore, dimentico della propria affermazione di semplicità, fra le anomalie della prima declinazione riporta la forma di dativo e ablativo plurale “ambabus”, che credo sia un’autentica rarità della lingua latina.
Apprezzabile la sobrietà nel trattare i pronomi ipse e idem, su cui a volte si accaniscono certi manuali: ipse è “esso, essa, essa cosa; idem è “il medesimo, la medesima, la medesima cosa”.
Ai verbi in “-io” il nostro dedica solo questa citazione: “Nella terza coniugazione vi sono quindici verbi, i quali (coi loro composti) in molte delle forme ammettono un i breve dinanzi alla desinenza. Questo i però scompare dinanzi a un altro i od e breve”. Non c’è una quinta coniugazione, ma un semplice fenomeno legato alla natura “volatile” dell’i breve. Questa apprezzabile pragmatica sinteticità non era stata usata nel trattare la terza declinazione.
Ampie citazioni di eccezioni vengono concesse ai “Perfetti e supini irregolari” (§ 9, pagg. 46-49) e interessanti osservazioni sono riservate al gerundivo, ma in tutto il volumetto è predominante lo spirito pratico, che mostra i suoi limiti nel proporre sempre la traduzione delle forme nominali e verbali, come se esistessero espressioni equivalenti in italiano e in latino.
Chissà se qualche acquirente di questa “grammatichetta” ha imparato il latino seguendo il metodo suggerito; speriamo di sì, però si avverte la distanza cronologica e metodologica rispetto ai moderni manuali: termini come radice, tema, vocale tematica, apofonia, desinenza personale e suffisso sono elementi fondamentali nello studio scientifico della lingua, latina, greca e italiana.