Quaere

Mi hanno fatto osservare che fra le postille al calendario non ho parlato delle stagioni. Cerco di rimediare, anche perché l'argomento è interessante. 

La parola moderna italiana "stagione" deriva dal latino statio, stationis, che contiene la radice i.e. sta (gr. στα), la stessa del verbo stare (latino e italiano), riferibile al concetto di fermata, alla permanenza. Dalla parola latina statio deriva anche "stazione", con un esito fonetico leggermente diverso. In francese va ricordato stage (da staticum)[1]. La radice sta si trova anche nella parola "solstizio" (fermata del sole); nella misura del tempo di un anno i solstizi e gli equinozi sono i limiti delle stagioni: infatti la locuzione latina tempus anni equivale a "stagione". 

I nomi delle stagioni derivano dal latino

La parola latina hiem(p)s, hiemis (gr. χιών, χειμών) deriva dalla radice indoeuropea him che significa "freddo" e designa la stagione invernale, la stagione delle tempeste, della pioggia e del freddo. La parola italiana inverno deriva da hibernum tempus, ma pare contaminata dal sostantivo arcaico italiano verno, (con aferesi di hi/in) con cui Dante e Petrarca denominavano la stagione invernale.
Ver, vēris (ἕαρ, ἕαρος) parola di genere neutro in latino, in italiano ha cambiato genere, unendosi indissolubilmente all'aggettivo primo e formando il sostantivo "primavera" (lat. primo vere). In latino l'aggettivo vernus significava da solo "primaverile".
Da approfondire il significato del sostantivo verna, che indica lo schiavo nato in casa e per estensione uno schiavo; infatti la gente di bassa condizione parla il vernacolo e non la lingua corretta. In latino resta una certa ambiguità del termine che nel latino tardo (Apuleio) può anche significare “di casa” e quindi “cittadino”, “raffinato”.

Estate deriva da aestas, aestatis, (gr. αἴθω) stagione calda, che brucia, che nel calendario contadino andava fino al 12 agosto. Canicula (letteralmente “cagnolina”) era detta la stella Sirio, che appare nel periodo del caldo torrido estivo (24 luglio - 26 agosto).

Autunno è parola tutta latina, da autumnus, da collegare forse al verbo augeo “accrescere” e quindi stagione di ricco raccolto, che terminava a metà novembre. In greco si chiamava όπώρα cioè la stagione in cui si raccolgono i frutti. Nella parola si riconosce ὤρα "periodo", mentre la prima radice ha etimo incerto.

In primavera iniziava l’anno degli antichi. Dopo il freddo invernale che aveva spogliato gli alberi, congelato la terra e fermato la vita l’anno iniziava il suo ciclo e tutti tornavano al lavoro, a viaggiare, a commerciare, ad amare. Stamo vivendo momenti in cui si fa fatica a controllare la voglia di tornare a viaggiare, a visitare belle città, sentimento antico che trovo in questa poesia di Catullo di cui propongo testo e traduzione.

Sta finendo l’inverno del 56 a.C.: Catullo è stato in missione in Bitinia (nord Anatolia) al seguito di C. Memmio. Non mancava al poeta la compagnia di persone amiche, ma si viveva in una terra difficile, dall’estate rovente e in una città priva di attrattive. Inizia la primavera. Il poeta scalpita, i suoi piedi di muovono da soli (laeti pedes vigescunt v. 8), l’immaginazione trepidante anticipa il desiderio di volare verso le più belle città dell’Asia (cfr. mens praetrepidans avet vagari v. 7). Addio cari amici, la bella compagnia (dulces coetus v. 9) si scioglie: ognuno ritorna a casa, è come se scoppiasse in cielo un fuoco d’artificio che dirama le sue scie luminose nel cielo. È un momento di festa, è primavera.

 Catullo, c. XLVI

Iam ver egelidos refert tepores,

iam caeli furor aequinoctialis

iocundis Zephyri silescit aureis.

Linquantur Phrygii, Catulle, campi

Nicaeaeque ager uber aestuosae:

ad claras Asiae volemus urbes!

Iam mens praetrepidans avet vagari,

iam laeti studio pedes vigescunt.

 

O dulces comitum valete coetus,

longe quos simul a domo profectos

diversae varie viae reportant.

Miti tepori già porta Primavera

ormai la furia equinozial del cielo

tace al dolce spirare di Zefiro.

Lasciamo, Catullo, i frigi campi

e la ricca torrida terra di Nicea:

voliamo alle famose città dell’Asia!

Trepida già la mente ha voglia di viaggio

felici i piedi fremono già smaniosi.

 

Addio dolci compagnie di amici;

partiste insieme per lontane terre

tornar ora vi fanno varie vie diverse.

Presto ci sarà anche la lettura con un sottofondo sonoro :-) 

 [1] La sillaba latina “ti” seguita da vocale ha un’evoluzione abbastanza tormentata già in forme tardo-latine, in cui grafie come ocio e gracia (cfr. sp.) si alternano alla grafia filologica otio e gratia (cfr. Migliorini pag. 283). L’esito prevalente nella grafia italiana è “zi”, che riproduce la pronuncia ecclesiastica del latino. Meno comuni sono le evoluzioni di “ti” in “ci” e “gi”: da nuntius derivano gli allotropi annunzio e annuncio, pronuncia e pronunzia; da ratio derivano razionale e ragione, da servitium derivano servizio e servigio. Si può individuare una specie di scuola toscana in cui prevale “ci” e una settentrionale in cui prevale “gi”. Potrebbe trovare conferma anche la parola francese stage a proposito della quale Le Vocabulaire français (mots dérivés du latin e du grec) dice: “Notre suff. français -age vient d'un suff. lat. -aticum: ainsi voy-age, de vi-aticum qu'on retrouve dans viatique ; vol-age, de vol-aticum ; ombr-age, de umbr-aticum, etc. (pag. 258)