La prima volta che andai al cinema a vedere “Il primo re” vi andai per due motivi: per i dialoghi in “protolatino” e, un po’ meno, perché era il “primo kolossal italiano”.
Con me una nutrita rappresentanza di un gruppo formidabile: I Latinisti dell’Archivio, appassionati cultori della materia, curiosi di assistere alla novità.
La lingua latina nel Cinema non è proprio una novità: regolarmente fa la sua comparsa nei film storici, come elemento di ambientazione, come accessorio di scena, come costume aggiunto.
Ricordo di essermi tenuto un notes sulle ginocchia: vi scrivevo le parole che riuscivo a percepire. Sentivo che c’erano suoni latini, parole latine, ma il senso generale dei dialoghi si comprendeva meglio lasciandosi guidare dalla recitazione: le parole erano ai limiti dell’intelligibilità, la pronuncia degli attori non era quella solita delle scuole, ma restituta, detta anche scientifica (tipo “kikero”), con qualche concessione alla pronuncia tradizionale.
Udendo i suoni di questa lingua strana, un po’ familiare e poco davvero latina, sono tornato indietro nel tempo, a una rappresentazione delle Troiane in greco antico. Mi ero recato a teatro con il testo di Euripide nell’illusione di poterlo seguire. Fu un’operazione inutile: quello che udivo non aveva stretta relazione con il testo scritto che tenevo sulle ginocchia. Leggere un testo non è come ascoltarlo. E non produce di per sé la comprensione, al punto che spesso si deve e si può leggere una seconda volta per capire i passi più impegnativi.
A teatro, al cinema, il testo è uno degli elementi di quello cui si assiste e non è il principale. Le immagini, i suoni, i gesti coinvolgono più velocemente lo spettatore; i testi assumono il ruolo di comprimari, concorrono allo spettacolo senza essere i protagonisti.
I testi recitati dagli attori de “Il primo re” non si percepivano alla lettera, ma erano finalizzati all’azione drammatica. Una variante del gramelot portato al successo da Dario Fo, un “gramelotus”, una lingua espressiva e funzionale, studiata con serietà anche se inesistente.
Un bell’articolo di Luca Alfieri[1] racconta la genesi di questa lingua e racconta come questa sua “opera di creatività filologica”, cioè il proto-latino (gramelotus) del film, abbia sucitato la colorita romanesca battuta con cui il regista Matteo Rovere si complimentò con lui «Ah, mo’ sì! Così li vojjo ’sti Romani de’e origgini: belli, barbarici e ’ncomprensibbili!».
Per i dettagli linguistici tecnici e per qualche altro aneddoto divertente invito a leggere l’articolo di Luca Alfieri e il seminario on line raggiungibile su YouTube a questo link. In questa sede sottolineo la vitalità della lingua latina che trova sempre il modo di stupirci, diventando motivo di studio, di comunicazione e di spettacolo, la lingua tagliata su misura per i Romani primitivi, per rappresentarli barbari, sanguinari e crudeli come li ha immaginati e rappresentati questo bel film.
[1] La lingua de Il Primo Re - Scaricabile in rete a questo sito