Quaere

Improvvisamente la Scuola italiana ha scoperto l’importanza della didattica a distanza, detta anche FAD (formazione a distanza): colleghi di ogni età sono dovuti diventare docenti virtuali di alunni virtuali, messi in quarantena didattica da un’emergenza sanitaria.  Come al solito la scoperta è avvenuta per motivi di emergenza, come al solito l'incombenza è ricaduta sui docenti che si sono messi al lavoro con quel senso del dovere su cui si basa la qualità delle nostre scuole. Con quali esiti è abbastanza facile immaginarlo: saranno diversi e di diversa qualità, perché pochissime sono le scuole che hanno dato spazio a una modalità didattica che da tempo sarebbe stato opportuno affiancare all’attività ordinaria in tutte le sue varianti.

Inizierò a pubblicare alcune riflessioni e qualche consiglio tecnico nella speranza di essere utile a chi avrà la bontà di leggere le mie righe sull’uso delle tecnologie informatiche nella didattica; sono frutto di numerosi corsi di formazione, prima frequentati e poi tenuti, sono conversazioni più che lezioni, quindi sarò grato a chi vorrà far pervenire a questo sito qualche proposta o riflessione. Il tempo (forse) c’è perché in questi giorni dobbiamo tutti restare a casa.

I primi passi dell’apprendimento a distanza

Cominciamo a fare un salto nella storia recente, per vedere le tappe seguite dall’apprendimento a distanza. 

Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia aveva fame di sapere: tanti Italiani si iscrissero alle scuole serali per diplomarsi, e accolsero con entusiasmo la novità delle scuole per corrispondenza.  Fu la prima forma di apprendimento a distanza. La più popolare fu la Scuola Radio Elettra, nata negli anni ’50, che portava non solo al diploma, ma anche a costruire, dispensa dopo dispensa, un apparecchio elettrico funzionante.

La radio pubblica fu però la prima grande divulgatrice di conoscenze, con “La Radio per le Scuole” (link), che trasmetteva programmi didattici seguendo il calendario scolastico: nata nel ’45, visse fino alla fine degli anni ’60.

La neonata televisione piano piano sottrasse spazio alla scuola via radio: riusciva a tenere inchiodate davanti allo schermo sempre più persone con trasmissioni che divulgavano il sapere in modo capillare. Tutti ricordano il maestro Manzi (che non fu l’unico maestro televisivo) e “Non è mai troppo tardi”, la scuola popolare promossa dal Ministero della Pubblica Istruzione negli anni ’60 per i tanti adulti analfabeti del tempo.

 Gli strumenti multimediali rudimentali usati in quelle lezioni erano minimi, gli stessi che si utilizzavano nelle aule scolastiche della scuola del tempo: la lavagna, i disegni, le parole e i gesti. L’insegnamento   televisivo riproduceva la modalità “normale” della lezione frontale, con l’enorme pregio di raggiungere molti alunni lontani, sparsi sul territorio nazionale.

 Quando, con la riforma del 1975, la TV cominciò la sua prodigiosa espansione, i canali si moltiplicarono e gli orari si espansero, aprendo spazi che potevano ospitare   programmi didattici.  Nel cuore della notte degli anni ’90 valenti docenti del Politecnico di Torino e collaboratori del Consorzio Nettuno insegnavano gratis informatica a   chi li voleva ascoltare; i videoregistratori allora aiutavano a non perdere intere notti di sonno; strumenti (cassette VHS) e tempi passati; oggi quelle videolezioni, ancora valide (prof. Meo e Mezzalama), sono disponibili in Internet, a prezzo modico (link).

 Era in corso la rivoluzione informatica: i computer, da tempo parte già del mondo produttivo, entravano nelle case e si affacciavano, timidamente, anche nelle scuole.

 Poco di tutto questo fermento entrò nell’Istruzione istituzionale[1]; anche perché la resistenza dei docenti fu ampia e diffusa. Le tecnologie informatiche si diffusero   solo tra gli insegnanti disponibili ad accogliere il cambiamento epocale in corso; tanti la considerarono una questione personale e privata, non un’esigenza di doveroso   aggiornamento. Apripista furono i docenti di matematica.

In quel tempo insegnavo al liceo scientifico e non sopportavo di essere escluso da quel mondo nuovo, del quale intuivo le potenzialità. Ero certo che le nuove tecnologie sarebbero state utili alla Scuola, l’informatica non era una disciplina di esclusiva competenza dei docenti di matematica e il computer non poteva essere solo quello che sembrava essere, cioè uno strumento di calcolo. La tecnologia doveva essere messa al servizio della conservazione e della trasmissione del sapere.

Ne ebbi presto la conferma, quando la promozione dell’apprendimento basato sull’uso delle tecnologie informatiche (e-learning) fu promossa dalla Comunità Europea già all’inizio del XXI secolo[2].

(1 - continua)

 

[1] Felice eccezione: i corsi ForTic, che ebbero un modesto impatto sulla didattica ordinaria.

[2] Cfr. Gazzetta Ufficiale UE del 30/09/2003, “Per l'effettiva integrazione delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) nei sistemi di istruzione e formazione in Europa (programma eLearning)”.