La divinità venerata dai Romani aveva delle caratteristiche originariamente agricole. Si può dedurre da numerose testimonianze. Possiamo fare riferimento a due testi, sicuramente di età arcaica.
- Il carmen Arvale recitato dai fratres Arvales, è un testo antichissimo che è pervenuto a noi da una trascrizione del III secolo. Era recitato nel secondo giorno degli Ambarvalia, feste dedicate alla fertilità dei campi. Anche il nome dei sacerdoti e delle feste contengono la radice del sostantivo neutro arva, arvorum (campi arati)[1]. In questo carmen più volte è ripetuto il nome del dio nelle diverse forme in cui era conosciuto e invocato dai Romani e dai popoli italici: Mars… Marmar.
- Il cap. 141 del De agri cultura di Catone, § 2 (II sec. A.C.) in cui si trova questa preghiera a Marte
Mars pater, te precor quaesoque uti sies uolens propitius mihi, domo familiaeque nostrae : quoius rei ergo agrum, terram fundumque meum suouitaurilia circumagi iussi, uti tu morbos uisos inuisosque, uiduertatem uastitudinemque, calamitates intemperiasque prohibessis, defendas auerruncesque, utique tu fruges, frumenta, uineta uirgultaque grandire beneque euenire siris…
Marte padre, ti prego e ti supplico di essere favorevole e propizio a me, alla casa e alla nostra famiglia. Per questo motivo ho ordinato di condurre i suovetaurilia intorno al mio campo: per tener lontani, difendere, preservare il campo dalle malattie visibili e invisibili, da miseria, devastazione calamità e intemperie e far ben sviluppare le biade, i frumenti i vigneti e tutti gli alberi…
Così il fattore invocava Marte adorandolo come dio protettore dei campi, della casa, della salute, ma non della guerra.
La storia del bellicoso popolo romano unì i due ruoli: quella del dio guerriero che assiste i soldati in battaglia per portarli alla vittoria e protegge i campi dalla devastazione provocata dalla guerra, quando i cittadini romani anticamente erano impegnati spesso in guerra ed erano costretti a trascurare l’attività agricola.
Ascoltiamo la voce dei poeti
Ovidio dedica al mese di marzo il terzo libro dei Fasti. Ecco i primi versi (III, 1-10)
Bellice, depositis clipeo paulisper et hasta,
Mars, ades et nitidas casside solue comas.
Forsitan ipse roges quid sit cum Marte poetae:
a te qui canitur nomina mensis habet.
Ipse uides manibus peragi fera bella Mineruae:
num minus ingenuis artibus illa uacat?
Palladis exemplo ponendae tempora sume
cuspidis: inuenies et quod inermis agas.
Tunc quoque inermis eras, cum te Romana sacerdos
cepit, ut huic Urbi semina magna dares.
Bellicoso Marte, lascia per un po’ lo scudo e la lancia,
assistimi, e sciogli fuori dall'elmo la chioma lucente.
Forse tu chiedi cos'abbia a che fare un poeta con Marte:
da te prende il nome il mese che ora si canta.
Tu vedi che guerre feroci compion le mani di Minerva:
non meno si dedica lei alle nobili arti?
Sull'esempio di Pallade cogli il momento di deporre
l'asta: troverai anche inerme qualcosa da fare.
Anche allora eri inerme, quando ti conquistò la sacerdotessa romana,
per dare una nobile stirpe a questa città.
Poi il poeta inizia il suo canto fantasioso, che accompagna il lettore nel mito e nella storia, con la sua poesia armoniosa, colta e piacevole insieme. Tralasciando gli approfondimenti tecnico-culturali sulla derivazione del nome[2] mi sposto nel tempo agli eleganti esametri epici di Claudiano, poeta della fine IV secolo (In Rufinum, I, 342-348), che così fa parlare Marte mentre accorre a combattere a fianco di Stilicone, muovendosi dalla selvaggia Tracia, dove si trova la sua dimora:
Fer galeam, Bellona, mihi nexusque rotarum
tende, Pavor; frenet rapidos Formido iugales.
Festinas urgete manus. Meus ecce paratur
ad bellum Stilicho, qui me de more trophaeis
ditat et hostiles suspendit in arbore cristas.
Communes semper litui, communia nobis
signa canunt, iunctoque sequor tentoria curru.
Portami l'elmo, Bellona; e tu, Paura, prepara le ruote
del carro; Terrore metterà il morso ai veloci destrieri.
Muovete le rapide mani. Ecco si prepara alla guerra
il mio Stilicone, il quale degli usati trofei mi arricchisce,
e all’albero appende i crestati elmi nemici.
Comuni sono per noi sempre le trombe di guerra, i segnali
risuonan comuni e col carro aggiogato ne seguo le tende.
Un Marte guerriero che rivive dopo più di un millennio, si muove accompagnato dalla sorella latina Bellona (un nome che è tutto un programma) e dai fedeli collaboratori Pavor (gr. Φόβος ) e Formido (gr. Δεῖμος), un tempo spaventosi cavalli di Marte, oggi innocui satelliti del pianeta rosso.
Bene venisti ver!
🙂
[1] Cfr. arare, aratrum (gr. ἀρόω) appartenenti al campo semantico dell’aratura dei campi.
[2] Cfr. le belle note di Marco Fucecchi nell’edizione della BUR (Ovidio, I Fasti, traduzione di Luca Canali)