Nella centralissima piazza Cavour di Vercelli, a far compagnia alla statua del ben più famoso Conte Camillo Benso e al busto dell’illustre pittore Giovanni Antonio Bazzi (il Sodoma) si trova una lapide con una scritta in latino, sormontata da un bassorilievo, che ricorda un altro vercellese, l’avvocato Vibio Crispo, il più antico e famoso concittadino latino (anche un po’ Gallo). Ecco la scritta:
CRISPUS VIBIUS VERCELLENSIS CAUSIDICUS EXIMIUS PECUNIA, POTENTIA, INGENIO FLORUIT ROMAE SUB OTHONE VITELLIO VESPASIANO |
Vibio Crispo Vercellese avvocato esimio per ricchezza, potere, doti naturali Fiorì a Roma Sotto Otone Vitellio (e) Vespasiano |
Il ritratto è frutto della fantasia dello scultore, ma il personaggio storico, al pari dell’epigrafe, è abbastanza interessante.
Si può avere un’idea della sua biografia perché di lui parlarono numero autori coevi[1]. Si sa che nacque da umili origini, fece carriera politica a Roma sotto Nerone, sopravvisse al tempo dei “quattro imperatori (69 d.C.)” e fu amico di Vespasiano e Domiziano. Ricoprì cariche di una certa importanza, si arricchì e morì più che ottantenne.
L’epigrafe riporta fedelmente alcune parole di Tacito: “pecunia potentia ingenio” (Hist. II, 10), un efficace asindeto trimembre; sul monumento non si trova la frecciata velenosa con cui il passo prosegue: “inter claros magis quam inter bonos”, cioè uomo da collocare “più tra i famosi che tra gli onesti”. Tacito non si lascia influenzare dalla chiara fama di oratore e preferisce ricordare la scarsa moralità di questo ricco personaggio, pieno sì di talento naturale (ingenio), influente e ricco, ma squallido delatore al tempo di Nerone.
Chi si è interessato a lui prescindendo dalla moralità concorda sulla sua iucunditas[2] (piacevolezza): era brillante, non solo nelle orazioni giudiziarie, ma probabilmente anche nella vita quotidiana. Alcuni versi della IV satira di Giovenale elogiano la diplomatica prudenza che gli consenti di vivere fino a tarda età in tempi molto difficili.
Svetonio, dopo aver raccontato che l’imperatore Domiziano era solito isolarsi e passare il tempo infilzando le mosche con uno stiletto molto acuminato, riporta questa arguta battuta di Vibio “cuidam interroganti essetne quis intus cum Caesare non absurde responsum sit a Vibio Crispo ‘Ne muscam quidem’”, “A un tale che gli chiedeva se nella stanza ci fosse qualcuno insieme all’imperatore rispose spiritosamente “nemmeno una mosca” (Dom. III).
Ridere delle battute degli antichi non è facile, ma questa fa ancora sorridere. Non sappiamo cosa fece durante i suoi incarichi ufficiali e a corte, ma certamente la sua compagnia doveva essere piacevole.
Ave Vibie Crispe!
Riferimenti
- Mai perdersi la voce del sito del mio collega Edoardo De Carli Chi era costui?
- Come testi disponibili in rete ho trovato Fortunato Guala, Vercelli romana,
- Nell’articolo ho trovato il riferimento all’opera del Padre Luigi Bruzza, Discorsi sopra Vibio Crispo, Vercelli, De Gaudenzi 1846; difficile da reperire.
[1] Plinio il Vecchio, Quintiliano, Tacito, Svetonio, Giovenale
[2] Quintiliano, Inst. Orat. V, 13, 19 vir ingenii iucundi, iucundus in X, 1, 119 e in XII, 10, 11 ricorda la sua iucunditas; Giovenale (Sat. IV, 81) cita la sua iucunda senectus.