Quaere

Riflessioni sul libro “I Promessi Sposi ed altre prose in traduzione latina, a cura di Enrico Renna, 2010 Edizioni Sparton, Napoli, Intro XLVIII + pagg. 303.

In questo volume, a tiratura limitata, sono raccolte le versioni in latino di alcune parti del romanzo e di altri testi in prosa del Manzoni; il libro è stampato su carta di buona qualità, corredato di immagini interessanti che testimoniano il paziente e appassionato lavoro del curatore che si è mosso tra archivi storici e raccolte private.

La prima informazione che colpisce è che non risultano versioni latine del romanzo scritte nell’Ottocento;

la traduzione più antica (Francesco Niola) risale al 1904: le versioni raccolte dal curatore, tutte posteriori, appartengono a quindici traduttori. L’unica traduzione di considerevole estensione è di Emilio Springhetti (1913-1976) che ha tradotto i primi otto capitoli del romanzo; gli altri traduttori si sono concentrati solo sulla versione di alcuni passi particolarmente significativi.

Le mie osservazioni personali si limitano ad alcune curiosità colte nella versione springhettiana, non solo perché è la più ampia, ma anche perché poco c’è da osservare nei passi brevi, che sono frutto di studio accurato da parte dei singoli traduttori, tutti di fama e doctrina certificata.
E poi a me la versione springhettiana è subito piaciuta a partire dall’introduzione fino all’Addio monti. Ha una sua compiutezza strutturale e una coerenza lessicale che dimostrano grande padronanza della lingua latina che permette all’autore di adeguare la lingua latina ai tempi di ambientazione del romanzo.

Dopo l’ottavo capitolo l’autore si è fermato e mi piace immaginare che, come nella finzione manzoniana, anche il grande studioso si sarà chiesto se ne valeva la pena, anzi, con parole sue “post tantum laboreminpensum, eritne qui in ea legenda perstet?”.

Caro Springhetti, sì! e voglio condividere con i miei 25 lettori quello che ho trovato di interessante.

Tradurre l’introduzione deve essere stato relativamente più facile e divertente: l’involuta ipotassi, le metafore e il tono declamatorio del manoscritto pseudosecentesco sono stati resi con uno stile ciceroniano. Ecco l’incipit:

Historia verissume definiri potest praeclarum bellum Tempori illatum, cum annos, quos captivos, immo vero exanimatos tenebat, ex illius manibus eripiens, ad vitam revocet, recenseat, instruat iterum ad pugnam. …

Le numerose maiuscole rispecchiano la lingua manzoniana; l’autore richiama, appena può, il dettato manzoniano, come nell’interiezione “misericordia!” resa con un arguto “heu nos miseros!” basato sulla radice comune miser recuperando un’antica espressione latina. In nota troviamo i riferimenti alle opere usate come modello.

I diversi capitoli sono stati resi con registri stilistici da commedia nei dialoghi, narrativi nelle descrizioni, filosofici nelle analisi psicologiche e ampollosi nelle citazioni delle leggi. La lingua latina ha prodotto un testo più breve, che si coglie confrontando la lunghezza dei testi nelle pagine in lingua italiana del testo a fronte.

La latinizzazione dei nomi propri di persona è stata generalmente semplice (Lucia, Rodrigus, Cristophorus, Abundius, Perpetua…) e la forma ipocoristica Rentius (da Laurentius) appare solo meno “classica”.

Agnese diventa Hagne (genitivo Hagnes), i bravi diventano satellites e Azzecca-garbugli diventa un nome parlante degno di Plauto: Necte-tricas. Altri nomi “moderni” assumono forme che richiamano i modelli (per esempio il curato diventa curio).

La resa delle date concilia il numero arabo dell’età di Cristo con la denominazione del calendario latino: la data d’inizio delle vicende, il 7 novembre 1628, è tradotta VII Idus Novembres anno 1628. Ricordiamo che Springhetti fu attento alle nuove possibilità espressive del latino e guardò con favore alla didattica innovativa del metodo “natura” e scrisse anche una presentazione del libro innovativo di Orberg[1].

La versione di Springhetti si conclude con il celebre “Addio monti”, che ha un andamento musicale degno del testo italiano: “Valete montes assurgentes ab aquis sublimes, valete culmina iniqua, illi pernota, qui vos inter adolevit aetate, eiusque in animo non minus impressa, quam ora ipsa et vultus suorum…  Huiusmodi erant, si non haec ipsa, quae Lucia, nec longe alia quae reliqui duo viatores cogitabant, dum eos cymba ad dexteram Adduae ripam vehebat”.

A me è piaciuta: sembra un controcanto, una seconda voce che nulla toglie al modello e aggiunge armonica intensità d’affetto al passo nel suo insieme. Le altre traduzioni, nel loro insieme, sono esercizi di stile, versioni spesso pensate per la scuola e realizzate per amore della lingua latina. In questo contesto si distingue l’ampia traccia tematica composta da Ornella Mogàvero e Vittorio Ostraccione riportata nelle ultime pagine dell’introduzione, pagine serene e scorrevoli, forse perché lontane da confronti diretti con il monumentale modello.

Una comparazione tra versioni diverse dello stesso testo lascia non poche perplessità. Il romanzo manzoniano non è una delle tante opere pubblicate in quegli anni in Europa; si poneva come modello della lingua italiana con valore fondativo, un secondo De vulgari eloquentia, una dimostrazione esemplare di come si poteva dare dignità alla semplicità d’espressione, avendo come antitesi l’inutile complessità della lingua usata da potenti e prepotenti, che, ironia della sorte, è affine al latinorum di Renzo.

Si potrebbe accennare anche alla distanza che il Manzoni prese dai dialetti, anche di alto livello letterario come il toscano puro o il dotto milanese dell’amico Carlo Porta, ma mi limito a mostrare le copertine di due versioni dialettali, una milanese di Francesco Cordara, tradotto anche di Pinocchio, e l’altra del poeta Mario Gildo Dedola, che ha composto una versione in ottave in Logudorese.

 

 

[1] Luigi Miraglia, il più grande sostenitore del “Metodo naura” per l’insegnamento del latino, nonché fondatore dell’Accademia Vivarium Novum, ricorda il caldo incoraggiamento di Springhetti all’uso di un metodo didattico nuovo (Latine doceo, pag. 19) e gli dedicò l’articolo Aemilius Springhetti Latinitatis omnium temporum eximius cultor (Latinitas - 2008, pagg. 152-159).