Quaere

L’etica degli antichi (quarta e ultima parte)

ELLENISMO

Come ricorda Mario Vegetti nell’opera già citata, un’illustre tradizione storiografica sostiene che la perdita dell’indipendenza politica delle poleis, avvenuta nel IV secolo ad opera della monarchia macedone di Filippo e di Alessandro, avrebbe determinato un radicale mutamento della vita sociale e culturale dei Greci, cambiando anche le coordinate della riflessione etica. Questa veduta è in parte fuorviante: anche dopo la conquista macedone e perfino in epoca romana la polis ha continuato ad essere il nucleo principale della vita sociale; è però vero che è venuta meno l’autonomia dei processi di deliberazione politica, e che questa perdita sollevava nuovi interrogativi.

Come si è visto, nell’etica aristotelica è centrale l’idea della realizzazione di un progetto di vita da parte dell’uomo-cittadino libero e responsabile, che può decidere intorno alla propria condotta nella famiglia, nella società, e anche nella dimensione politica. Se il ruolo del cittadino e della politica si appanna, si apre un vuoto difficile da colmare.

Per colmare il vuoto viene emergendo un’esigenza di universalità; più tardi dirà Seneca, riecheggiando un tema costante dell’etica ellenistica: “la virtù non è preclusa ad alcuno, è accessibile a tutti, accoglie tutti, chiama tutti, liberi, liberti, schiavi, re, esuli. Non sceglie la casa o il censo, si accontenta dell’uomo nudo”. Oltre alla ricerca dell’universalità, si cerca di delineare una nuova figura di riferimento, una sorta di incarnazione esemplare della norma morale, la figura del saggio.

Il saggio ellenistico, inteso come mito di perfezione, occupa naturalmente il luogo che era stato dell’eroe omerico, ma come modello di vita virtuosa e perciò felice, indipendente dal ceto, dal censo e dalla fortuna, il saggio è piuttosto l’erede di Socrate. Dall’etica aristotelica eredita il possesso simultaneo delle due grandi virtù di ragione, la sophia e la phronesis; unisce dunque la sapienza del filosofo speculativo e la saggezza nelle deliberazioni pratiche. Questa conciliazione tra il piano della conoscenza teorica e quello dell’azione morale comporta la possibilità di descrivere la norma morale come qualcosa di oggettivamente dato.

Troviamo quindi nella filosofia ellenistica la proclamazione, insieme iperbolica e rassicurante,  della sublime perfezione del saggio. Essa consiste nel nesso di virtù, felicità e libertà, e culmina in una condizione divina. Epicuro promette al suo allievo, che grazie all’apprendimento della filosofia atomistica si sia liberato dalla paura deli dei e della morte e dai desideri superflui “sarai libero dal turbamento…e vivrai come un dio tra gli uomini”. Quanto agli stoici,  essi ritengono che quando il saggio comprende e si identifica con il Logos, la Ragione che regge tutte le cose secondo necessità, e supera così tutte le vane passioni (che nascono dall’ignoranza dell’ordine del mondo) la sua felicità sia pari a quella del dio.

Epicuro (341 – 270 circa a. C) – lettera a Meneceo:

Si sappia che dei desideri sono alcuni naturali, altri vani; e, dei naturali, necessari gli uni, solo naturali gli altri: dei necessari certi son necessari alla felicità, certi al bene stare del corpo, altri alla vita stessa. Una retta considerazione di essi sa riferire ogni scelta ed avversione alla salute del corpo e alla tranquillità dell’anima;  questo infatti è il fine della vita felice: e veramente per questo ogni cosa operiamo, per non soffrire e non esser perturbati. Appena l’otteniamo, ogni tempesta dell’anima si placa. … Ed invero, di piacere abbiamo bisogno, quando soffriamo per l’assenza del piacere: quando non si soffre, il piacere più non si cerca. Perciò dichiariamo il piacere principio e fine della felicità, perché questo abbiamo riconosciuto come bene primo e congenito; e da esso cominciamo ogni scelta e ogni avversione, e ad esso ci rifacciamo, giudicando ogni bene alla norma del piacere e del dolore. … non eleggiamo ogni piacere, ma talvolta a molti rinunziamo, quando ne consegue per noi maggior incomodo; e molti dolori stimiamo preferibili ai piaceri, quando maggior piacere ne consegua, se lungo tempo avremo sopportato i dolori. Ogni piacere dunque, per sua propria natura è bene, ma non però ognuno è da scegliere; similmente ogni dolore per sua natura è male, non però ogni dolore è sempre da fuggire. Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni.

Stoicismo antico

Essi (gli stoici) dicono inoltre che la natura non fa alcuna differenza tra le piante e gli animali, perché essa regola anche la vita delle piante senza impulso e senza sensazione…Ma poiché agli animali è stato ingenerato l’impulso per mezzo del quale essi si dirigono ai propri fini, ne deriva che la loro disposizione naturale si attua nel seguire l’impulso. E poiché gli esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta più perfetta, il loro vivere secondo ragione coincide rettamente col vivere secondo natura…perciò Zenone per primo…definì fine il vivere in accordo con la natura, cioè vivere secondo virtù, perché la natura ci guida alla virtù. ( Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII)

Manuale di Epitteto (circa 140 d.C.)

Tra le cose che esistono, le une dipendono da noi, le altre non dipendono da noi. Dipendono da noi: giudizio di valore, impulso ad agire, desiderio, avversione … non dipendono da noi il corpo, i nostri possedimenti, le opinioni che gli altri hanno di noi, le cariche pubbliche … Le cose che dipendono da noi sono per natura libere, senza impedimenti, senza ostacoli. Le cose che non dipendono da noi sono in uno stato di impotenza, di schiavitù, di impedimento, e ci sono estranee. …Ricordati dunque che, se credi che le cose che sono per natura in uno stato di schiavitù siano libere e che le cose che ti sono estranee siano tue, sarai ostacolato nell’agire, ti troverai in uno stato di tristezza e di inquietudine … Se al contrario pensi che sia tuo solo ciò che è tuo e che ciò che ti è estraneo ti sia estraneo, nessuno potrà più esercitare alcuna costrizione su di te. … Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma i giudizi che essi formulano sulle cose.

Non cercare di fare in modo che ciò che accade accada come desideri, ma desidera che ciò che accade accada come accade, e il corso della tua vita sarà lieto.

Luciana Paracchini - fine