L’incoraggiamento della legge europea diede un forte impulso a questa modalità di formazione. Subito l’invito fu recepito dai privati che fecero nascere piattaforme per l’aggiornamento del personale mentre il mondo della Scuola si mise in moto con prudenza.
I tempi erano certamente maturi: la tecnologia correva, l’accelerazione del progresso pareva inarrestabile, le infrastrutture digitali si stavano diffondendo e potenziando: i primi(tivi) modem integrati nella scheda madre lasciavano il posto a modem esterni sempre più potenti; la linea ISDN fu una meteora, molto presto messa in soffitta dalle linee ADSL, oggi superate dalla fibra ottica.
In questo campo instabile si costruiva la didattica a distanza come modalità di formazione, su cui soprattutto sperimentava l’Università, più per affiancare che per sostituire i corsi tradizionali. Risale al 1999 la prima diffusa riflessione istituzionale sul tema: i corsi di formazione per docenti (FORTIC) cominciarono a porre la questione della multimedialità, tanto presente nella vita quotidiana quanto estranea alla prassi didattica.
Nelle scuole la didattica si faceva solo in presenza: l’unica forma di utilizzo della multimedialità era costituita dalla proiezione di film (nell’ambito della Storia o della Letteratura), in genere cassette VHS lette da un videoregistratore e riprodotte da un televisore a tubo catodico collegato con un cavo SCART. Entrava in classe un bel carrellone con le attrezzature: enormi televisori pesantissimi e pericolosi (e pensare che erano solo 28 pollici), che le nuove generazioni nemmeno si immaginano; cassette VHS, TV quadrate, grosse spine SCART e videoregistratori sono ormai reperti archeologici. Oggi anche il compact disc e il DVD sono tecnologie in grande misura superate, infatti nessun computer moderno incorpora più il lettore.
All’avanguardia della didattica c’erano solo i docenti di lingua, che utilizzavano i laboratori linguistici, strumenti complessi e costosi di potenziamento e di controllo personalizzato dell’apprendimento in presenza. Se a questi laboratori togliamo le audiocassette (altro reperto archeologico), in fondo l’attuale didattica a distanza riproduce il modello della didattica in laboratorio linguistico.
Nel primo decennio di questo secolo arrivarono in buon numero i computer nella scuola: un passo in avanti per l’organizzazione del lavoro d’ufficio, una complicazione per l’attività didattica. Gli strumenti erano costosi, ingombranti, non facili da gestire e soprattutto in continua e rapida evoluzione. In partenza si doveva scegliere tra MAC e PC; l’Italia didattica inizialmente si divise, poi accettò il dominio dei PC basati sui sistemi operativi di Microsoft. Ricordo che in Università c’erano due laboratori: uno tutto MAC e uno tutto PC, tanto per accontentare i due “partiti”.
La situazione era problematica: le macchine (hardware) continuavano a migliorare, i programmi (software) cambiavano continuamente versione, spesso senza motivo, le licenze costavano e i fondi delle scuole erano sempre limitati.
I primi laboratori informatici comparvero nelle scuole disposte a investire nei nuovi strumenti, ma la didattica basata sul computer stentava a decollare. Paradossalmente quelle tecnologie potevano essere addirittura un handicap: malfunzionamenti delle singole postazioni, problemi di rete, di software, problemi fisici (cavi, periferiche malfunzionanti…) non potenziavano la didattica, ma la rallentavano.
Sostanzialmente la didattica continuò a essere indirizzata ad alunni fisicamente presenti nell’aula, che seguivano lezioni certamente più piacevoli, ma senza cambiare il modo dell’apprendimento.
E poi l’organizzazione scolastica aiutava poco: nell’organico mancavano i tecnici di laboratorio formati. La buona volontà non bastava a colmare le lacune organizzative. Il computer a scuola per anni non fu un grande aiuto sul piano didattico. L’informatica poi in generale era filosoficamente lontana dalla mentalità media dei docenti: niente sfumature, sottili distinguo, compromessi. O sì o no questo è l’informatica. Non c’è il sei meno meno, non c’è “il non lontano dalla sufficienza”, il sei o c’è o non c’è.
Intanto qualcuno lavorava a un altro modo di sfruttare le tecnologie, seguendo un’intuizione vincente: la macchina poteva anche essere modesta, poteva avere un sistema operativo qualunque, perché la nuova prospettiva didattica pensava di uscire dall'ambito ristretto dell’aula scolastica per proiettarsi verso il mondo infinito della rete.
Questa nuova didattica, aperta alla conoscenza universale, aveva come destinazione il vero protagonista dell’apprendimento, lo studente.
(2 - continua)